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Chiamami col tuo nome

Chiamami col tuo nome, di Luca Guadagnino

Fermare il tempo, creare una realtà avulsa da immagini sporche, sbiadite o addirittura sfuggenti alla contaminazione di idee e culture tra persone: Chiamami col tuo nome fa tutto questo.
Insomma Guadagnino già dall’incipit, nella struttura di una scenografia attenta ad eliminare il superfluo, o comunque ogni elemento che possa arrecare disturbo al proprio ritratto da sublimare, disegna un’estate italiana, quella del 1983, cullata dall’ozio, dal gusto del bello, e protetta da una natura raffinata e serena.

Siamo nel nord Italia, la campagna di Crema accoglie un’elegante villa del XVII° nella quale il 17enne Elio vive con il padre, sontuoso professore universitario, esperto di cultura greco-romana e la madre traduttrice. Circondato da sapere e da bellezze naturali il brillante e spigoloso Elio trascrive, legge e compone musica classica trascorrendo le giornate tra giri in bicicletta e bagni al lago con amici distaccati.
L’arrivo dall’America dello studente universitario Oliver, ospitato per la tesi di dottorato dal padre gli darà nuovi  impulsi nell’ordinarietà di immagini sempre uguali.
L’ambientazione è italiana, il bel paese però rimane per lo più sullo sfondo facendo capolino sul piano politico e di costume solo in pochi istanti. Potremmo trovarci ovunque per la capacità di Guadagnino di cucire sui propri personaggi una fierezza, una disinvoltura nell’occupare la scena che non conosce imposizioni.

Più che agli intrecci Chiamami col tuo nome asseconda il momento, l’istante; un presente che non ha bisogno di essere sostenuto, semplicemente vive di uno sguardo e di una musica propria: lenta, paziente ma non per questo vacua. Guadagnino non rincorre, anticipa o interferisce con ciò che i protagonisti fanno ma aspetta di essere chiamato a seguirli, per questo la camera ha un passo distaccato, quasi rispettosa di un universo plasmato sulle identità e sullo sviluppo delle emozioni dei personaggi principali.
Non che sia facile stare dietro allo scenario ammiccante ma quasi sempre abbozzato e interrotto sul più bello del regista, né tanto meno il giovane Elio risulti una figura così interessante nel suo personale cammino di autoconoscenza identitaria e fisica.
Luca Guadagnino preserva il potenziale di eccitazione e vulnerabilità celato sotto gli sguardi, i giochi, i pensieri e i sospiri imbrigliati nelle note di una musica dolce, ma incompleta come tutti i rapporti intimi di Elio, prima quelli con l’amica Marzia e poi quando i tentennamenti, la timidezza lasciano spazio all’inevitabile disvelamento anche negli incontri con Oliver. Poco precipitosi nella forma, Guadagnino ritrae l’abbraccio tra i due, il loro trovarsi tratteggiando con giudizio le linee dei corpi: innocente e succoso quello di Elio, maestoso e solido in Oliver come le figure della civiltà greca decantate dal padre di Elio.

Quasi che l’eros, il piacere della scoperta risiedano nella dissertazione dell’origine etimologica di un frutto e il desiderio carnale tra amanti non sia tramutabile nel giardino incontaminato di Guadagnino.

Eppure nonostante questa sorta di dovizia nel mostrare il sesso è impossibile, in Chiamami col tuo nome, non farsi attraversare dai raggi di candore e simbiosi tra due anime che si trovano e si avvicinano con curiosità e dolcezza l’una all’altra vivendo un amore sincero.
Poco importa a quale genere appartengano, è una condizione inevitabile, un’emozione universale che dovrebbe caratterizzare ogni istante della nostra esistenza, e che Guadagnino sancisce come assoluta verità, riempiendola di vita in un passaggio finale genuino e dolente, capace di restituire valore alle molte cose che contano e non si dicono.

Chiamami col tuo nome

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