
Venezia 80: El Conde, di Pablo Larraín
VENEZIA 80
Cosa resta del male che facciamo, quale eredità rimane in un mondo quotidianamente caratterizzato da indifferenza e opportunismo.
E se è vero che “nessun uomo è tutto cattivo” come convivere con un’eternità di giorni sempre uguali?
Pablo Larraín ritrae una personalità politica della storia recente, Augusto Pinochet, simbolo del fascismo mondiale, un animale notturno che vive nascosto in una villa in rovina nella fredda estremità meridionale del continente, raffigurandolo come un vampiro stanco, in cerca di una via d’uscita dal mondo.
Distaccato e spoglio come l’ambientazione circostante, ‘El Conde’ oscilla tra il cruccio di venire ricordato come un truffatore e il desiderio di una chiosa significativa dall’esistenza terrena.
A tentare di snodare tale nodo arriverà una sorta di liberatrice, un’esorcista dell’anima con l’intento di liberare il vecchio comandante dal maligno insediatosi nel suo profondo.
Il regista cileno non si sofferma però sull’aspetto ultraterreno o mistico, le questioni da ridimire sono molto più umane, basse e egoistiche: la bramosia dei figli nel recuperare tutto i “tesori” di una vita di imbrogli, un fedele alleato desideroso di sublimare la figura del generale inafferabile.
Nell’ universo parallelo creato da Larrain, la malvagità rimane intangibile, e sebbene il tono scelto sia quello della farsa, la ridicolizzazione del personaggio funziona in parte perchè priva di personalità.
Nel suo congedarsi El Conde avrebbe dovuto unire il grottesco alla ferocia, Larraín opta invece per una conclusione che gira su stessa, legata ad un svolgimento narrativo e visivo, mai davvero coinvolgente.