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la casa di jack

LazzaCinema: La Casa di Jack, di Lars von Trier

Ognuno cerca di imprimere una forma alla realtà, alla prospettiva  del “nostro” mondo, persino nella maniera con cui osserviamo noi stessi.
Ed è questo che fa Lars Von Trier in The House That Jack Built, prova a dare una struttura alla propria visione dell’esistenza e dell’essere umano; o forse non è così, già perché l’ultimo film di questo regista libero e dirompente, amato e detestato in egual misura, affronta la vita, la morale, la morte, l’arte, la natura, la ricerca del senso senza dare riferimenti allo spettatore nonostante siamo di fronte ad un’opera lineare e a tratti didascalica nella messa in scena.

Il racconto di Jack, serial killer affetto da disturbo ossessivo-compulsivo, è in realtà un viaggio verso l’ignoto in un dialogo con un’entità che non ci vorrà molto a scoprire essere una personale interpretazione del Virgilio dantesco, una figura che non giudica, non compatisce né esalta le azioni dell’ingegnere Jack.
Per come inizia, La Casa di Jack parrebbe che voglia prendersi gioco di tutti, non tanto compiacere come desidera il suo protagonista, quanto irritare per le modalità parodistiche con le quali viene raffigurato il primo dei 5 incidenti di Jack (come ama definire gli omicidi che ha scelto di raccontare a Virgilio), condite da una regia che si avvale di uno stile da mockumentary per evidenziare l’atto criminoso e i tratti peculiari dell’ingegnere-artista.

Si, perché in Jack l’apice non è l’atto criminoso in sé ma il valore che se ne può trarre: la ricerca di una suggestione estetica, facendo delle vittime i protagonisti di quadri in continua trasformazione, in uno scenario dove l’arte come insegna la storia prende ispirazione da eventi criminali e macabri.

Come in natura così come quando ci poniamo di fronte all’arte e all’estro sta a noi decifrarne i messaggi, scegliendo se essere tigri o agnelli, cacciatori o prede.
Per Jack la vita è una caccia, lui è la mina vagante che non ha timore di essere catturato o scoperto per le sue imprese, è un killer freddo e amorevole verso le proprie creazioni.

Non vi è sublimazione, né tanto meno empatia verso l’estro di Jack così come è assente uno spirito perverso e gratuito nel voler mostrare paura e sofferenza. Mentre accresce, nel corso dei dodici anni degli omicidi di Jack, la sua naturale voglia di fare delle perversioni un affresco del gusto, diminuisce la capacità di plasmare la casa che invano tenta di realizzare, lui che è ingegnere ma si dichiara architetto incapace di creare, di farsi guidare dai materiali, ideando un’opera indecifrabile e per questo affascinante.
Non è fine a stesso o sopra le righe La Casa di Jack, poco sensazionalistico quasi che Lars Von Trier voglia farsi detestare per averci condotto ad una empasse dove non sappiamo se essere annoiati o estasiati.

Proprio per tali ragioni è un Lars Von Trier ruffiano, autoreferenziale ma anche genuino e indifeso che costruisce l’architettura della sua prospettiva sul mondo senza compromessi o indulgenza, mostrando non tanto il meglio o il peggio dell’essere umano quanto la sua multiforme natura.

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