
Venezia 79: Athena, di Romain Gravas
Violenza, rabbia, divisione sociale ed etnica sono gli ingredienti di Athena, film di movimento, ambientato in una immensa banlieue parigina.
La morte di un giovane ragazzo scatenerà la rivolta del grande agglomerato di Athena.
L’assalto ad una stazione di polizia da parte dei più giovani e incoscienti intreccerà le azioni dei tre fratelli del adolescente ucciso.
Abdel è il poliziotto che si trova in mezzo, letteralmente, a due fuochi, il suo lavoro, le regole e la comunità a cui appartiene, Karim il più giovane guida la rivolta di Athena mentre Moktal cerca di difendere i propri affari.
Tre personalità diverse, lontane ma legate ad un luogo che è come santuario, malconcio ma l’unico che in qualche modo li identifica in un contesto che segna ancora di più la differenza tra il “noi e loro”.
Una divisione di due mondi rappresentata subito con tono aggressivo e fluido, che dalla stazione di polizia si sposta nella cattedrale dei rivoltosi, è la generazione di snapchat e instagram a portare avanti con incoscienza e determinazione un scontro senza sosta contro una società che li ha visti crescere ma da cui si sentono traditi.
Una forza bruta messa in scena in maniera avvincente e mai confusionaria, dove la rabbia la fa da padrona manifestandosi tra scale, grate e passaggi che non portano da nessuna parte ed anzi trasferiscono una stato di dannazione da un personaggio all’altro.
Sembra improbabile per Abdel e Karim trovare un compromesso, la frustrazione e il dolore non conoscono linee rette: un peso che impedisce loro di camminare a testa alta e che li vede costantemente con il mento abbassato: una postura che da tutto il senso e la posta in gioco di una battaglia urgente, risolvibile nell’adrenalina dell’istante, di una notte che è l’immagine di una nazione in fiamme.