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Venezia 79: Bones and All, di Luca Guadagnino

Dei tanti significati e risvolti dell’essere “imprigionati nel proprio corpo” Bones and All segue la strada della convivenza con qualcosa  che non possiamo controllare.

Maren e Lee su due ragazzi che vivono ai margini della società, tra case sudicie e legami familiari tossici anche nell’assenza.
Ciò che li rende vivi, o per lo meno li caratterizza è il cannibalismo.
Si trovano, si “sentono” unendosi in un viaggio tra le strade dell’America più vera e genuina: le tavole calde in mezzo al nulla, i campi di grano, le lunghe vie secondarie di una nazione in cui si muovono come fuggittivi.

Guadagnino prende un risvolto, un elemento macabro e raccapricciante e ne fa un racconto di sentimenti e costruzione dell’identità.

L’adolescenza è la stagione delle passioni, dell’impeto, del qui e ora, in Bones and All tutto ciò chiama i protagonisti a combattere con le loro peculiarità; gli odori, i sapori, il lasciarsi andare non sono un’esplosione di gioia, ma un meccanismo necessario, da reprimere e al tempo stesso inevitabile.

Bones and All pervade di candore e umanità un atto di privazione, lo fa con delicatezza senza soffermarsi in maniera morbosa sui dettagli ma concentrandosi sullo stato d’animo, le emozioni dei protagonisti, impegnati ogni istante a cercare di capire come abbracciare il proprio corpo, senza pentirsene, assecondandone le pulsioni fino in fondo, senza più la paura di nascondersi costantemente per celare il proprio essenziale respiro.

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