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Venezia 79: Bardo di A. Iñárritu e A Man di Kei Ishikawa

Il viaggio della vita e dell’identità in due film diversissimi per registro e intrecci narrativi ma accomunati da uno sguardo intimo sulla fragilità umana.

Iñárritu torna in concorso a Venezia con Bardo, falsa cronaca di alcune verità. Protagonista è Silverio, un noto giornalista e documentarista messicano che vive a Los Angeles. L’uomo, dopo aver ricevuto un prestigioso riconoscimento internazionale, è costretto a tornare nel suo paese natale, ignaro che questo semplice viaggio lo spingerà verso una profonda crisi esistenziale.

L’irrequietezza di Silverio, i suoi ricordi di vita pervadono il presente attraversando la storia del Messico per mezzo di fantasie e sogni.
Da subito Innaritu ci trasporta in una dimensione surreale per seguire Silverio nella ricerca di un senso alla sua attività di documentarista che racconta il Messico da lontano, senza farne parte, senza più conoscerne le facce, gli umori, il quotidiano.
Il regista si muove assieme al suo protagonista, lo segue da lontano, lateralmente, dall’alto verso il basso e viceversa.

L’esperienza estetica suggerisce e accompagna ogni cambiamento emotivo di Silverio in una volteggio di porte che si aprono sulle relazioni familiari, la propria carriera, l’irrisolto.

Al netto di momenti visivamente stimolanti, per quanto alcune scelte non siano del tutto originali, Bardo si arena su stesso specchiandosi eccessivamente in virtuosismi di regia che probabilmente hanno stimolato e divertito l’autore messicano ma dilatano il racconto in uno spartito banale, che anziché dare forza all’intreccio, allo scenario visivo, lo limitano in un lungo processo di autoadulazione formale.

In A Man (sezione Orizzonti) di Kei Ishikawa, la ricerca di sé appartiene invece a più individui.
La vita di Rie, donna divorziata e titolare di una cartoleria si incrocia con quella di Daisuke, misterioso ragazzo con la passione del dipinto.

Un nuovo inizio, una ritrovata felicità interrotta troppo presto solo da un tragico incidente. Ancora più sconcertante non sapere con chi si è condiviso una relazione. È il punto di svolta di A Man che aggiunge ai toni misurati con cui osserva e ritrae i protagonisti l’elemento dell’indagine con la comparsa di un avvocato impegnato a ricostruire il vissuto di Daisuke.

Cosa definisce la nostra identità? Conta la formalità di un nome o quello che facciamo e decidiamo di essere.
Ken Ishikawa porta in scena con equilibrio una storia sulle relazioni, sui segreti delle persone che abbiano accanto, mescolando dramma e thriller con un approccio narrativo mai sopra le righe; i sentimenti, il frutto di un amore non sono esplicitati, vengo raffigurati come fatto già compiuto, come a proteggerne la purezza.

L’amore, lo scorramento, lo sconforto si manifestano attraverso i non detti, le attese, gli sguardi lontani.

È nella mancanza che conosciamo le tappe della vita di un uomo, ma non la sua vera essenza, il suo io più vitale, quello di Daisuke o di qualsiasi altro uomo.

 

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