
Venezia 78: Last Night in Soho, di Edgar Wright
Realizzare un sogno non è mai semplice. Quando lo brami oscilli tra speranza e angosce, se lo raggiungi sei travolta da adrenalina e vivi ogni momento con voracità.
La giovane Ellie vive nella campagna inglese con la nonna e il suo sogno sembra diventare realtà quando viene accettata dall’Università di moda a Londra.
Parte carica di entusiasmo con voglia di stupire per lasciarsi alcuni fantasmi alle spalle. Ben presto la sua storia si incrocia con quella di una ragazza degli anni 60, periodo che adora e dal quale trae ispirazione per i suoi abiti,
Ma la visione del mondo che gli appare di notte poco prima di coricarsi sulle melodie dei suoi dischi preferiti è vera o è solo frutto di visioni e incubi?
Ellie sembra vedere ciò che gli altri non vedono: Presenze? Fantasmi?
Nei film di Wright la musica non è mai un elemento di raccordo, un orpello banale ma è parola, sospiro, fantasia, un personaggio che anche in Last Night in Soho è vivo e si fonde con la struttura del racconto, con il vissuto e la storia dei personaggi.
Ma Wright è anche attento alle ambientazioni, agli elementi fisici qui focalizzati sull’architettura del quartiere di Soho, i suoi vicoli, le strade, ciò che si cela sopra o sotto le scale, tra le pareti.
C’è un momento di Last Night in Soho, quando l’incrocio temporale diventa predominante, che sembra impatanare il film in un esercizio di stile, piacevole ma effimero alla narrazione. In realtà è il prologo ad un susseguirsi di eventi con corse, colpi di scena, indagini, crolli mentali e incubi restii da domare.
Wright fa convivere una miriade di generi, ogni scena non è mai come la precedente, non toglie ma aggiunge, le musiche sostengono ogni intreccio e le protagoniste come i personaggi interpretati aggiungono ad ogni svolta un pahtos fuori dai canoni.
Last Nigh in Soho è cinema travolgente, esuberante, audace che non ha paura di cadere, sa osare senza cadere nelle esagerazioni o nell’effimero proprio come gli abiti che Ellie cerca di realizzare.