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Venezia 76

Venezia 76: Joker, di Todd Phillips

Concorso

Quando il presentatore tv interpretato da Robert De Niro chiede ad Arthur Fleck se lo spettacolo che porta in scena o la sua comicità abbiano a che fare con la politica, la risposta dell’uomo che un tempo voleva solo portare gioia nel mondo è un secco no.

Di politico invece c’è tutta la maniera con cui Todd Phillips e Scott Silver scrivono e rielaborano il mito della nemesi di Batman, nata appunto dall’indifferenza del sistema verso gli ultimi.
La Gotham dove vive Arthur è una città in decadenza, colma di rifiuti e in balia delle iniziative di uomini facoltosi come Thomas Wayne, carichi di promesse per risollevare la società e non lasciare nessuno indietro (almeno questo si dichiara a mezzo stampa).
Se il Joker di Heath Ledger era un personaggio misterioso che portava caos per evidenziare quanto gli uomini giusti e per bene fossero degli ipocriti, degli opportunisti, preoccupati di preservare uno status quo, l’Arthur Fleck di Joaquin Phoenix è il frutto di un impoverimento sociale dove l’apparenza e la rielaborazione delle immagini serve a definire le persone, conferendole un ruolo ben preciso nel mondo.

Arthur cerca l’accettazione attraverso la comicità, vuole essere un comico nonostante sia considerato uno strambo, in realtà è semplicemente malato, affetto da un patologia mentale che sfocia in una risata incontrollabile, fastidiosa quanto originale. Mentre le sue aspirazioni si scontrano con la rozzezza di un mondo sporco e brutale, Arthur accudisce una madre sofferente, affetta da un’ossessione per Thomas Wayne.
Il giallo opaco e il verdognolo sono le tonalità di un’ambientazione a cavallo tra gli anni 70 e 80, influenzata da atmosfere urbane alla Scorsese e da una rassicurante melodia (nei momenti più intimi) di stampo Alleniano. Per il resto del film gli echi cupi delle note di un violino accompagnano il contorto e ammaccato corpo di Arthur nella scoperta di sé e della sua identità.
La Gotham di Joker è un universo ingrovigliato dove fa più scalpore la morte di tre giovani e benestanti broker che il degrado sociale e politico, dove i servizi sociali per le persone come Arthur vengono tagliati e i losers sono costantemente messi da parte, spesso trattati con riluttanza e disprezzo da coloro che si prodigano mediaticamente per mettersi al servizio del bene comune.

La forza delle immagini, oggi come quarant’ anni fa, è uno strumento potente per veicolare opinioni e dare un riconoscimento agli individui. Come quando, nel primo atto del film, Arthur balla in modo sgraziato per trovare un angolo di felicità in un mondo apatico, capace di donargli solo umiliazioni, cadute e pugni in faccia. Un presente dove le scale da salire o le strade da cui scappare sono delle gabbie di sofferenza senza via d’uscita che Arthur prova a superare con innocenza senza però trovare un angolo di luce e umanità.
Joaquin Phonenix apporta sfumature espressive e fisiche non convenzionali ad un uomo denigrato, la cui unica cosa buona della sua esistenza si rivelerà una bugia, anch’essa priva di purezza ma frutto di un meccanismo di omissioni connesso ad una vicenda di abusi.

Per arrivare a vedere Joker, Phillips fa muovere tantissimo il suo Arthur Fleck tra i luoghi più svariati della città. L’aspirante comico deve vivere sulla propria pelle esperienze di rifiuto e disperazione per abbracciare l’unica verità del film: nella Gotham di Phillips non vi sono salvatori, né comprensione verso gli ultimi o individui spezzati come Arthur.
L’assenza di una presa di coscienza sui bisogni collettivi innesca una serie di episodi drammatici, direttamente e non causati da Arthur, che porteranno la città a diventare un luogo senza più confini e controllo, animata non da un rovesciamento di valori sociali e politici ma da una danza selvaggia dove ogni atto è libero da freni morali fino al punto che il disordine e la decadenza estetica di Gotham non sono un elemento negativo, semplicemente esprimono la personalità di una parte di città capace di trovare la via più appariscente per essere notata e quindi riconosciuta.

Arthur affera questa fiamma di rottura e vede la luce, fin ad allora un miraggio, quando truccarsi era una distrazione per mitigare una realtà di pensieri negativi. L’essere nati e cresciuti nel lato sbagliato di Gotham è stata una stupida barzelletta e così la tragedia si fa show, perchè aderire, anche cromaticamente, allo spettacolo vuol dire affermarsi, esprimendo la propria natura senza restrizioni o tentannamenti.

In un corpo “diverso”, esile ma conscio della propria identità, la danza di Arthur si unisce al gioco e si fa originale, accattivante e pericolosa come l’uomo malato rigenerato dalla figura del Joker.

È il punto di non ritorno per un personaggio a cui Phillips ci fa avvicinare per poi puntualmente e con leggerezza allontanarci perchè il suo sorriso diventa alla fine così affascinante da essere familiare, non più un ghigno da trattenere ma una manifestazione soddisfatta sulle labbra di un uomo totalmente libero di ballare.

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