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La vérité

Venezia 76: La Vérité, di Kore-eda Hirokazu

Concorso

Alla fine di La Vérité c’è quasi da chiedersi se Kore-eda sia venuto davvero a girare in Occidente.

Se è vero che per il regista giapponese è più vitale come le persone riempiano gli spazi, anche piccoli, piuttosto che farli muovere in ampi scenari, la sensazione è quella di un film che non abbia a sufficienza “giovato” dell’ambientazione. La città è Parigi, una famosa attrice francese ha da poco pubblicato la sua autobiografia, la figlia arriva da New York con marito e bimba, ufficiosamente per celebrare l’uscita del libro. Nel frattempo Fabienne, la mamma, sta girando un film accanto ad un’attrice emergente, dotata di un talento simile a quello di una sua defunta collega, molto amata dalla figlia Lumir.

Scontrosa, distante da tutti, spigolosa senza essere troppo diva, attraverso il set Fabienne incanala ed “espelle” il suo io più vero: i sentimenti repressi, i segreti, le gelosie, la paura del tempo che avanza e il dubbio mai espresso a voce alta che l’essere stata una cattiva moglie o madre non sia poi bastato per renderla “immortale” nel firmamento cinematografico. Tutta la prima parte del film oscilla didascalica tra il set e la splendida villa immersa nel verde che confina Fabienne in un tumulto emotivo, il quale resta però sempre sopito.
I dialoghi con Lumir sono statici come la propria condizione esistenziale, la natura complessa di questo rapporto madre-figlia resta vuoto e non tanto per mancanza di parole quanto per una espressività vacua che non incide sulla narrazione e ancor meno sulle caratterizzazioni dei protagonisti.

Poi nella seconda parte, avvicinandoci ad un finale conciliatorio Kore-eda cerca di introdurre un contatto umano, una vicinanza tra i personaggi attingendo a soluzioni “facili” come un’orchestra di strada che irradia empatia e calore su individui fin ad allora bloccati.
Grazie a tale “furbata” ed altri piccoli momenti La Vérité pare diventare altro ma è troppo tardi perché se è vero che le relazioni umane non per forza devono essere decifrate, come dice Fabienne recitare non basta, bisogna avere una personalità, mostrare un’identità in ciò che facciamo.
La Vérité riesce però a fare dei personaggi maschili dei profili da schernire, al servizio di donne apparentemente più determinate, raffigurandoli come bizzarri o più meritevoli come amanti che come uomini.

A La Vérité manca una visione, un sussulto anche visivo, ma più di tutto un racconto capace di parlare di persone vere oltre le accomodanti pareti di una villa borghese.

 

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