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the place

The Place, di Paolo Genovese

Il cinema di Paolo Genovese respira attorno alla coralità. Uno stare insieme che per Immaturi era evasione da ciò che eravamo diventanti. Desiderare gli altri forse per gioco nel teatrino energico ideato da un ricco uomo di mezza età in La Famiglia Perfetta.

Nel suo ultimo acclamato film Perfetti Sconosciuti, le vite parallele che conduciamo al di fuori dei nostri affetti erano mostrate con sagacia in una stanza, attorno ad un tavolo che fungeva da tribunale delle nostre coscienze dove i segreti scricchiolavano nel rifugio di un patteggiamento codardo.

È ancora un luogo, questa volta un bar-bistrot, il co-protagonista di una storia in cui uomini e donne mettono in gioco le proprie individualità. C’è un uomo, interpretato da Valerio Mastandrea, seduto in fondo ad un tavolo, che giorno e notte, annota qualcosa su un grande librone nero ricevendo spesso la visita di nove persone differenti.
Ognuno vuole qualcosa, ha dei desideri. Per realizzarsi l’uomo chiede delle azioni, di attenersi ai patti affinché gli obiettivi posso concretizzarsi.
Insomma niente è possibile a detta di un uomo che non sorride mai, non lascia trasparire emozioni ma è scrupoloso nell’ascoltare l’evolversi delle storie di sconosciuti trasparenti nelle loro debolezze e ambizioni.
C’è chi vuole recuperare il rapporto con il proprio figlio, chi vuole trascorrere una notte di passione con la donna dei propri sogni e chi “semplicemente” vuole essere più bella. C’è un patto rigoroso, un piano da seguire che conduce ognuno degli individui a lottare con i propri demoni, a sacrificare principi e moralità.
L’aspetto più interessante di The Place è l’atmosfera intima che riesce a trasmettere nonostante il tutto avvenga all’interno di un location movimentata, dove ogni intenzione è statica ma in qualche modo in movimento come le anime di questi personaggi che a poco a poco si spogliano delle loro corazze, delle rispettive vulnerabilità al cospetto di un tizio imperscrutabile ma sinistramente affascinante.
Perché sono spinti a dargli retta nonostante egli incarni il nostro potenziale mostruoso? Forse davvero non riescono a cogliere i dettagli come sostiene l’uomo (non sapremo mai il suo nome).

The Place costruisce un proprio mondo, un microcosmo dove non c’è spazio per i nostri alter ego virtuali, così attenti e dipendenti da social e hastag. In The Place vi è un altro tipo di condivisione: le paure, i segreti, le volontà più pericolose, i vizi sono parole reali che confidiamo ad un estraneo con inafferrabile naturalità.
Messo in scena in modo gradevole senza affidarsi a virtuosismi fini a se stessi The Place nel suo essere anche metafisico non riesce a creare un senso più profondo, qualcosa che vada oltre un piano da ottemperare, in sintesi ad essere realmente cinematografico all’interno di una storia e un contesto universali.
E cosi più che alle emozioni, alle ripercussioni sui nove cercatori di risposte nelle loro vite, siamo più interessati alla figura impassibile dell’uomo che scrive e dirige, chiedendoci se riuscirà a mai a trovare il proprio posto oltre The Place.

Chi scrive questo pezzo non ha visto la serie tv The Booth at the End del quale il film di Genovese è un adattamento, quindi non è dato al momento sapere quanto il regista abbia attinto dallo show televisivo.
Di certo lo sviluppo narrativo e le caratterizzazioni dei personaggi sono insolite (e spiazzanti) per il registro narrativo e registico del nostro cinema.

The Place

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